La cucina di Nella, ad Avola, è stretta e lunga. Sembra di starci a malapena da sole in quel corridoietto ingombro di mobili, ma lei e sua sorella Pina si muovono tra fornelli, pentole e piatti, come se stessero danzando. Mi fanno venire in mente due ballerine col grembiule a fiori, coodinate alla perfezione, che volteggiano tra pentoloni fumanti da cui esce ogni tipo di ben di dio. C’è sempre un gran daffare in quel piccolo spazio, eppure è sempre tutto in ordine.
La Sicilia a tavola ho cominciato a conoscerla e ad apprezzarla grazie a loro, ai loro piatti colorati, con porzioni sempre troppo abbondanti ma talmente buone che poi riesci in qualche modo a finire..
La cosa più affascinante sono loro due che raccontano i loro piatti: ogni ricetta diventa un racconto. La ricerca degli ingredienti, i tempi e i ruoli, la preparazione. Ci sono poi pietanze che si perdono nella tradizione e gustarle è un vero privilegio se vi affascinano le storie dei luoghi.
Una di queste è la mostarda siciliana: un concentrato di usanze, cultura e territorio, nel vero senso della parola.
La storia della mostarda siciliana: tradizione contadina e ingredienti della terra
Non ha niente a che vedere con le mostarde che ho mangiato fino ad oggi in Italia Settentrionale, per lo più salse più o meno dolci o piccanti, con frutta candita o senza, utilizzate generalmente per accompagnare piatti come il bollito.
La parola “mostarda" deriva dal latino “mustum ardens", alludendo al mosto di vino reso ardente, nel senso di piccante, dall’aggiunta di farina di grani di senape. In questo modo un tempo era possibile conservare un prodotto facilmente deperibile come la frutta. Da qui, in francese è diventata moût ardent (letteralmente: "mosto che arde”) e infine mostarda.
Mostarda => moût ardent => mustum ardens = “mosto che arde”
La mostarda siciliana invece è un dolce, eppure non ha zucchero. Non si mangia col bollito, ma a fine pasto. Non è piccante, è dolce.
Per realizzarla si utilizza mosto di uva addolcito con la cenere e mescolato alla farina. Un procedimento che crea una specie di budino, dal sapore dolce ma non stucchevole, genuino.
E’ un dolce che racconta la sua provenienza popolare, tipica delle famiglie di agricoltori che utilizzavano i grappoli dimenticati nelle vigne o gli acini caduti.
La sua realizzazione si esegue in due tempi:
- Nella prima fase si realizza il mosto cotto, che si può conservare poi anche per diversi mesi in freezer.
- La seconda fase è la creazione del “budino”, mescolandolo ad altri ingredienti semplici come farina, cenere, mandorle tostate.
Immaginate la mia gioia quando una sera Nella mi ha presa da parte e mi dice “Oggi farai la mostarda. Se la fai tu imparerai meglio la ricetta”. Ed eccomi così alle prese con la mia prima mostarda siciliana. Una ricetta che voglio condividere con voi perchè per me è più di un dolce, è la storia di un pezzo di Sicilia in un periodo ben preciso dell’anno, quello della vendemmia.
Come si prepara la mostarda siciliana in 3 step
- L’ingrediente di partenza è il mosto, a cui si mescola un po’ di cenere bianca di legno d’ulivo, di vite o di mandorlo per contrastare l’acidità e mantenerlo dolce.
- Il succo così mescolato si lascia riposare per 24 ore, dopodiché va filtrato alcune volte su panni di lino o canovacci di cotone, per garantire il completo allontanamento delle particelle di cenere. (A questo punto potete congelarlo e sciorglierlo quando decidete di preparare la mostarda).
LE DOSI: Per ogni litro di succo d'uva si aggiungono 90-100 grammi di farina. Alcuni usano l’amido. Io ho usato la farina 0, non 00, e viene buonissima.
- Questa miscela di ingredienti si mette in pentola, quindi su un fornello a fuoco lento mescolando spesso perché raggiunga lentamente il punto di ebollizione.
All'ebollizione si aggiunge in pentola una manciata di mandorle tostate tritate grossolanamente. Quando il liquido si addensa a sufficienza è pronto per essere versato negli stampi o anche semplicemente in piattini di plastica resistenti al calore per raffreddarsi (ma è buona anche tiepida!).
La mostarda così ottenuta (mustata ri vinu cottu, in dialetto siciliano) può essere consumata in giornata, oppure, se volete conservarla più a lungo, potete adottare lo stesso procedimento che si usa per conservare a lungo la cotognata: farla asciugare al sole e quando raggiunge il giusto grado di densità conservarla all'interno di bocce di vetro.
Questa è la ricetta che ho sperimentato ad Avola, ma so che esistono diverse altre versioni che prevedono l’aggiunta di altri ingredienti come chiodi di garofano, cannella, persino zucchero. Secondo me in questo modo perde un po’ la sua autenticità, ma se vi va di condividere le vostre ricette scrivetemi!
Ciao, sono Alessandra, faccio la giornalista dal lontano 2003! Lavoro in un’agenzia di comunicazione e mi occupo di viaggi e agroalimentare.
Le mie passioni? Viaggi, storie autentiche, natura, mobile journalism.
Non serve andare lontano per stupirsi. Quello che serve a un viaggiatore sono occhi aperti e buona memoria.
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