E' stato un post di Nunzia Cillo sul suo entrophia.it (lo vedete appena qua sotto) a convincermi che nel mio blog avrei proprio dovuto parlare del kintsugi, e di quanto questa pratica giapponese potrebbe essere utile alle nostre vite e a rielaborare le sofferenze passate.Eccolo qua:
Il kintsugi, letteralmente "riparare con l'oro", è un’arte che consiste nel riparare recipienti in ceramica rotti con oro, argento liquido o lacca con polvere d’oro. Il metallo prezioso viene usato per saldare assieme i frammenti.
In Occidente quel che è rotto lo buttiamo, quel che non è perfetto viene nascosto. Una ferita dell’anima fa paura a chi la vive e a chi da fuori la osserva. In Oriente è diverso: le cicatrici fanno parte della nostra vita e possono renderla più preziosa, qualcosa di nuovo.
La tecnica così non solo trasforma oggetti rotti in nuovi oggetti preziosi, ma li trasforma anche in opere artistiche, ciascuna diversa dall’altra.
Ogni ferita, ogni fessura, hanno un disegno diverso e unico, e si trasformano così in un sempre diverso e unico intreccio di linee dorate, disegni irripetibili proprio per via della causalità con cui gli oggetti vanno in pezzi.
Ma quello che mi affascina di più di questa pratica è che nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione.
E se provassimo a prendere esempio dal kintsugi anche per le nostre vite e per i nostri trascorsi sofferti? E se le ferite fossero non qualcosa da nascondere e da rimarginare? Se dovessimo imparare da questa antica arte?
Interessante è la lettura che ne dà Dalila Giglio su IlQuorum:
“La circostanza che il Kintsugi non costituisca una pratica alla portata di tutti, appare, tuttavia, del tutto secondaria: a contare, infatti, non è tanto la possibilità di riparare un oggetto accrescendone la bellezza e il pregio, quanto la filosofia che ne è alla base, secondo la quale la vita consta non soltanto d’integrità, ma anche di rottura e, come tale, va accolta.
Il dolore, per i giapponesi, non incarna un sentimento vergognoso, da estirpare o da occultare, così come l’imperfezione estetica non rappresenta un elemento capace di rovinare l’armonia di una figura; le crepe dell’oggetto rotto non vanno nascoste né mimetizzate ma valorizzate, esattamente come le cicatrici, i difetti fisici e le ferite dell’anima non vanno celate ma esibite senza imbarazzo, essendo le stesse parte dell’uomo e della sua storia…..
….Il Kintsugi, attraverso, l’arte, ci dimostra che da una ferita risanata, dalla lenta riparazione conseguente a una rottura, può rinascere una forma di bellezza e di perfezione superiore, lasciandoci così intendere che i segni impressi dalla vita sulla nostra pelle e nella nostra mente hanno un valore e un significato, e che è da essi, dalla loro accettazione, dalla loro rimarginazione, che prendono il via i processi di rigenerazione e di rinascita interiore che ci rendono delle persone nuove e risolte.”
Se è possibile riparare e dare più valore a un oggetto rotto, non potremmo fare così con le nostre ferite?
O far brillare quelle degli altri? Intanto che ci penso su, eccovi alcune belle foto dei cocci trasformati in arte dal Kintsugi.
Ciao, sono Alessandra, faccio la giornalista dal lontano 2003! Lavoro in un’agenzia di comunicazione e mi occupo di viaggi e agroalimentare.
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Non serve andare lontano per stupirsi. Quello che serve a un viaggiatore sono occhi aperti e buona memoria.